“Erba verde è il nostro letto, di cedro sono le travi della nostra casa, di cipresso il nostro soffitto.”
(dal Cantico dei Cantici)
O2 è la formula chimica dell’ossigeno. Basta l’aggiunta di una C per trasformarla in quella dell’anidride carbonica. Il ventunesimo secolo ha realizzato l’addizione. Nel corso del 2016 la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera del nostro pianeta (il più diffuso dei gas climalteranti) ha superato il nuovo record degli ultimi 800mila anni.
L’industrializzazione e la deforestazione governano il pantheon planetario mentre gli alberi, le più antiche creature viventi, affondano le loro radici nel bitume o vengono abbattuti in nome dell’urbanizzazione imperante. In questa società liquida dove tutto si scompone e si ricompone rapidamente a tempo di social, dove l’efficienza richiede la corsa e le pause contano occhi abbassati su monitor luminosi anziché levati a scoprire le nuvole, gli alberi spariscono al nostro sguardo affannato e vacuo. Divinità decadute, si trasformano in elementi del paesaggio urbano, scontati, ignorati e incompresi. Noi automi della respirazione, replicanti ignari di una memoria ancestrale di cui non abbiamo premura alcuna, vaghiamo tra fumi e nubi tossiche, indegni e irriverenti verso quei verdi polmoni forieri di una speranza salvifica.
Le fotografie di Giuditta Martinicchio suonano come un notturno di Chopin, intime e oniriche. Nel buio il passo rallenta, i suoni nascondono presagi e la notte costringe a fermarsi, a tornare a guardare. Così le luci artificiali dei lampioni e delle insegne rivelano e si fondono con l’elemento arboreo disegnando una geografia rarefatta e cangiante di corpi ramosi.
Pamela Piscicelli/D.O.O.R.